Legnano- Finirà alla Juventus o al Napoli? O sarà ceduto all’estero? Oppure manterrà fede al proposito di rimanere ad Appiano Gentile da indesiderato nullafacente, lautamente stipendiato fino al giugno del 2021, per poi andarsene dove vorrà a costo zero (ammesso e non concesso che, dopo due anni di inattività agonistica, la sua irrefrenabile moglie-manager riesca a trovare un acquirente interessato)?
Esclusi gli inguaribili ottimisti, ancora convinti che tra Mauro Icardi e l’Inter possa scoppiare improvvisamente la pace, questi sono i tre possibili esiti dell’estate in cui il popolo nerazzurro si è diviso in schiere pro o anti-Maurito.
Confesso di non essermi iscritto ad alcuna delle due fazioni. Ignorando motivi alla base della rottura diversi e ulteriori rispetto agli sciagurati e compulsivi social-sproloqui della signora Wanda, constato che i rapporti tra Icardi, i compagni, la società e buona parte della tifoseria si sono strappati al punto da pregiudicare qualsiasi tentativo di ricucitura. Ma ammetto che è difficile rinunciare a cuor leggero a un bomber da 126 gol, soprattutto se poi si indirizzasse verso l’antagonista principale (un’avvertenza: controllare attentamente l’eventuale corrispettivo, c’è il rischio di incorrere in accuse di ricettazione…).
E allora? Per trarre elementi di conforto e soprattutto di fiducia nel futuro, mi affido alla storia, che è sempre maestra. E a tre precedenti illustri.
Angelillo e la “dolce vita”
Argentino. Centravanti. Capitano dell’Inter. Prima di Icardi c’è stato Antonio Valentin Angelillo, componente con Maschio e Sivori del trio degli “angeli dalla faccia sporca”, capocannoniere del campionato nella stagione 1958-1959 con 33 gol, record assoluto per i tornei a 18 squadre. L’anno dopo, però, scende a 11 e a fine stagione Angelo Moratti affida la panchina nerazzurra a Helenio Herrera. Il quale prende di mira il futbol bailado di Angelillo, che mal si concilia col furore agonistico predicato da HH. Poi ci si mette di mezzo l’amore (vi ricorda qualcuno?): Angelillo si lega alla ballerina Ilya Lopez (nome d’arte di Attilia Tironi) e questo, unito al calo del rendimento in campo, scatena immediatamente accuse di “dolce vita”. Conclusione: Herrera pretende e ottiene la cessione di Angelillo (con lui se ne vanno anche Lindskog e Firmani) e in cambio chiede a Moratti l’acquisto di Luis Suarez Miramontes, cervello del Barcellona e della Nazionale spagnola. Il perno attorno a cui il Mago costruisce la leggenda euro-mondiale della Grande Inter.
Altobelli e la fascia
Dopo aver riempito di trofei le bacheche della Juventus, nel 1986 Giovanni Trapattoni diventa allenatore dell’Inter (anche questo vi ricorda altri?). Centravanti, capitano e “bandiera” è Alessandro Altobelli, già campione d’Italia nel 1980. Nel primo anno le cose funzionano discretamente e i nerazzurri arrivano a contendere lo scudetto al Napoli. Nel 1988, però, c’è un’involuzione, dovuta all’invecchiamento di Passarella, al dualismo Matteoli-Scifo e anche ai rapporti sempre più tesi tra “Spillo” e “Trap”. Tensione che esplode all’ultima partita casalinga contro l’Avellino, mentre il Milan festeggia a Como il primo scudetto dell’era-Berlusconi: Altobelli è in odore di cessione e, quando Trapattoni lo sostituisce, esclude che sia un gesto di riguardo per sollecitare l’omaggio del pubblico; reagisce male, si strappa la fascia dal braccio e la getta verso la panchina, mentre sugli spalti (quasi) tutti prendono le sue parti. Conclusione: “Spillo” finisce alla Juventus, Trapattoni affida le chiavi della squadra ai tedeschi e crea l’Inter dei record, scudettata nel 1989 con 58 punti.
Ibrahimovic e la Champions
Ha vestito le maglie di Juventus, Inter e Milan, vincendo in bianconero (fino a Calciopoli contraria), nerazzurro e rossonero. Arriva a Milano nell’estate del grande scandalo e, dopo un inizio stentato, dà un concorso significativo allo scudetto del 2007. Nel 2008 parte forte, prosegue fortissimo, ma poi si ferma per guai fisici quando il titolo sembra sicuro. In sua assenza, la Roma recupera punto su punto e prima dell’ultima giornata piomba a una sola lunghezza. Allora Mancini, nel match decisivo a Parma, lo rischia a mezz’ora dalla fine e sotto la pioggia “Ibra” cala la doppietta decisiva. Tornato in piena efficienza agli ordini di Mourinho, nel 2009 Zlatan è capocannoniere e contribuisce a un altro scudetto. Continua però a non incidere in Champions League e inizia a manifestare un certo «mal di pancia»: non è solo la richiesta del solito “ritocchino” all’ingaggio, è anche la voglia di provare che la “Coppa dalle grandi orecchie”, lui, la può vincere. Lontano dall’Inter. Conclusione: “Ibra” emigra al Barcellona, Mourinho rifà la squadra con Milito, Eto’o e Snejider e nasce la stagione del Triplete.
Morale: i giocatori passano, l’Inter resta. E se la storia si ripete, tornerà a vincere.
(Mauro Colombo, giornalista)